BELLA COSCIA!

Il corpo di un culturista è l’espressione di una forma d’arte, vivente, soggetta a cambiamenti dovuti al tempo, la cui materia prima, la “carne”, rappresenta la componente plasmabile, mentre il movimento contro resistenza, che genera sovraccarico sull’insieme di cellule, tessuti, organi e sistemi, rappresenta lo strumento atto a plasmare.

Il culturismo al giorno d’oggi è sostanzialmente incanalato in due direzioni.

C’è quella dove i praticanti sono supportati farmacologicamente, in cui sembra che integrazione alimentare e cibo siano divenuti gli unici fattori importanti, mentre l’allenamento è passato in secondo piano o peggio.

Nell’altra, quella in cui i praticanti non sono supportati, si nota un approccio all’allenamento troppo incentrato su determinati schemi motori, standardizzandoli e lasciando poco sapzio all’individualizzazione, senza alcun riadattamento soggettivo dello schema stesso.

Ponendo l’allenamento, invece, come punto cardine attorno cui ruota tutto il resto, esporrò le mie personali valutazioni in merito a cosa succede fisiologicamente quando si sceglie la modalità di esercizio in base alla funzione dei muscoli coinvolti, con tutti gli accorgimenti annessi e connessi atti ad orientare l’enfasi dello stimolo e quindi lavorando in maniera molto selettiva.

Il corpo diviene opera d’arte e le cosce compongono metà dell’opera.

I vasti laterale e mediale, sono muscoli appartenenti al gruppo del quadricipite.

Questi, nella porzione prossimale all’inserzione sul tendine rotuleo, conferiscono alla coscia il classico aspetto stondato formando una curva verso l’esterno con lo sviluppo del vasto laterale, mentre i vasti mediali riempiono la zona mediale.

Posteriormente hanno sede i muscoli ischiocruali ed il bicipite femorale.

Sulla veduta posteriore, il loro sviluppo dona ampiezza alla coscia, mentre lateralmente, il capo breve del bicipite femorale conferisce rotondità.

SQUAT E VASTI

A qualsiasi movimento di accosciata, segue un’azione di estensione del ginocchio associata ad un’azione di estensione del femore.

La prima azione è a carico del quadricipite, la seconda degli antagonisti, quindi in tutti i multiarticolari di questa tipologia, il ginocchio si flette in eccentrica e si estende in concentrica.

Il vasto mediale è il primo estensore del ginocchio quando l’articolazione si trova in massima flessione e per ottimizzare il reclutamento delle sue unità motorie è necessario aumentare la pressione plantare.

Lo squat con talloni rialzati, in massima accosciata, con il tronco più verticale possibile, risulta funzionale per questo obiettivo.

Il retto femorale, più è accorciato (biarticolare in quanto origina dal bacino) e meno capacità di erogare forza/potenza avrà.

Ciò comporta importanti oneri tensionali a carico dei vasti mediale e laterale in massima accosciata, poiché questi muscoli vengono massivamente reclutati per risalire da quella posizione estendendo il ginocchio.

Questa enfatizzazione risulta favorita dal mantenimento della verticalità del tronco e da una larghezza non eccessiva tra i piedi (anzi sbilanciata più verso una stance stretta), per escludere adduttori del femore ed estensori dell’anca/femore.

Riuscire a caricare quasi il doppio del proprio peso corporeo non è indispensabile, ma è meglio…

CAPO BREVE DEL BICIPITE FEMORALE

(flessione del ginocchio senza agire sull’articolazione dell’anca)

Il capo breve del bicipite femorale origina dal femore, non dal bacino (ischio) come gli altri tre muscoli che compongono il gruppo dei posteriori coscia.

Questa caratteristica anatomica consente al capo breve del bicipite femorale, la sola azione di flessione del ginocchio, mentre tutti gli altri agiscono sia sull’articolazione del ginocchio, che su quella dell’anca, estendendola a femore bloccato, o viceversa estendendo il femore ad anca ferma.

Biomeccanicamente non esiste alternativa motoria che consenta di flettere il ginocchio contro resistenza, se non attraverso un’apposita struttura meccanica che lo consenta, ovvero la macchina per il leg-curl.

Ho notato che eseguendo in serie composta leg-curl ed una variante di stacco a gambe semi-tese e viceversa, la capacità di erogare forza nell’esercizio eseguito per secondo non cambia molto, rispetto a quando questo (indipendentemente da quale dei due sia) viene eseguito da solo.

La spiegazione può risiedere nel fatto che i singoli muscoli che compongono questo gruppo, possiedono un equilibrio nella specializzazione delle loro funzioni talmente distinto, da rendere plausibile una così atipica connotazione motoria.

ISCHIOCRUALI

(estensione femore/anca)

Quando si esegue lo stacco a gambe semi-tese (a gambe tese solo gli ex ballerini di danza classica che si danno al bodybuilding, specie che riflettendoci, non esiste in natura…) è importante mantenere i femori più perpendicolari possibili al suolo.

Arretrando il bacino in fase eccentrica, infatti, i femori riducono posteriormente l’angolo con il suolo, scaturendo una condizione di pre-stiramento del muscolo grande gluteo.

Un muscolo che si allunga contro resistenza, con una traiettoria perpendicolare alle sue fibre muscolari, si contrarrà di consegueza, nel tentativo di invertire il verso di tale resistenza.

Più lavoro (forza • spostamento) compie il grande gluteo e meno reclutamento dei muscoli posteriori coscia si verifica.

Concentrandosi nel generare la massima pressione al suolo con i talloni durante gli stacchi a gambe semi tese, si percepisce molta tensione nella zona centrale della porzione posteriore della coscia (a metà del femore), in senso longitudinale, proprio nella pancia del muscolo.

Questa tensione si estende anche in senso trasversale, prendendo tutta la sezione a partire dall’interno fino all’esterno.

Questo è dato dal fatto che gli ischiocruali inserendosi nella tibia attraverso i tendini del popliteo, formano un unico blocco con il gastrocnemio, che origina anche dal piano popliteo e si inserisce nella parte posteriore della caviglia attraverso il tendine d’Achille.

Insieme generano la catena cinetica posteriore inferiore.

Una potente contrazione muscolare, carica i tendini di tensione facendo si che tale tensione si propaghi all’articolazione (ossa) scaturendone il movimento.

Premendo al suolo con i talloni e quindi a partire dal tendine d’Achille si pone la massima tensione su tutta la catena posteriore, mentre se la pressione è spalmata sull’intera pianta del piede, parte di questa tensione andrà dispersa su altri muscoli non facenti parte di questa catena, come appunto i glutei.

Di Scilipoti Nino