GESTIRE L’AUMENTO CALORICO DOPO UN PERIODO DI CARESTIA AUTOINDOTTA

La fase successiva alla competizione o allo stato in cui la percentuale di grasso è giunta ai minimi termini, richiede di tornare ad alimentarsi in maniera adeguata, perché la maggior parte, una condizione del genere è stata raggiunta sottoponendo l’organismo ad una severa restrizione calorica.

In un primo momento aumentare l’apporto calorico è di fondamentale importanza per il ripristino del tasso metabolico, fattore diretto, ed in un secondo momento questo aumento servirà a soddisfare la spesa energetica dovuta alla normale ripresa del tasso metabolico stesso, fattore indiretto.

Il metabolismo basale rappresenta il dispendio calorico necessario a mantenere le normali funzioni vitali in condizioni di omeostasi.

Inoltre va considerato il consumo di substrati indotti dall’allenamento ed al dispendio energetico generale dovuto alle attività quotidiane.

La ripresa delle normali funzioni psico-fisiche rappresenta la fase più importante in assoluto per il culturista.

I livelli di leptina (un ormone prodotto dagli adipociti che comunica direttamente con l’Snc, quando scende sotto certe soglie di allarme, costringe l’Snc stesso a rallentare il tasso metabolico) vanno ristabiliti e con essa tutta la cascata di ormoni e neurotrasmettitori in correlazione.

MANGIARE DI PIÙ SI PUÒ, ANZI SI DEVE, MA ATTENZIONE…

Per ripristinare i livelli basali di leptina occorre un periodo di tempo abbasta lungo.

Bassi livelli di leptina provocano un appetito smisurato e ingiustificato e questo può spingere il soggetto a triplicare l’introito calorico senza nemmeno accorgersene (se ne accorgerà il suo stomaco ristretto) e si accumuleranno parecchi chili tra liquidi mal distribuiti e grasso corporeo in poche settimane.

Poco nutrimento ed un allenamento altamente dispendioso dal punto di vista energetico conducono il corpo verso scelte metaboliche alternative per ricavare substrati quando la materia prima (cibo) introdotta dall’esterno è insufficiente.

Si tratta di vie alternative cataboliche per il tessuto adiposo, fattore positivo, ma anche per i muscoli, fattore negativo, da evitare, ma quasi sempre inevitabili.

Il dispendio energetico dovuto all’allenamento in una qualsiasi disciplina sportiva è il fattore principale su cui basarsi per impostare il quantitativo di kcal da introdurre.

Lo sportivo nuota, salta, corre, lotta, lancia, solleva il bilanciere.

Non si preoccupa più di tanto della condizione fisica intesa in senso culturistico.

Ovviamente devono rimanere in forma, magri, più o meno muscolari in base alla disciplina che praticano e mantenere un certo peso corporeo quando competono in discipline che prevedono categorie di peso o comunque mantenere il peso forma per ottimizzare le abilità motorie richieste dalla disciplina.

Se perdono peso significa che consumano meno di quanto introducono, se prendono peso consumano di più rispetto alle chilocalorie introdotte.

Ad esempio un’ora di nuoto svolta da un professionista comporta l’ossidazione di 700 kcal.

Allenandosi 3-5 ore al giorno in acqua, il dispendio energetico risultante è di 2100/3500 kcal.

Aggiungendo circa il 50% in più delle kcal ossidate a causa del debito d’ossigeno (quantità supplementare di ossigeno consumata dopo sforzi intensi per ripristinare l’equilibrio metabolico e le piene funzioni fisiologiche), questo dispendio dovrebbe aggirarsi intorno alle 3000/5000 kcal.

Probabilmente la storia delle 12000 kcal assunte ogni giorno da Michael Phelps in fase di preparazione è montata come il latte del cappuccino che bevo ogni mattina, ma è logico comprendere come un uomo della stazza di Phelps ed all’apice della carriera e della forma, possa avere un metabolismo basale che comporti un dispendio energetico di almeno 3000 kcal nell’arco delle ventiquattro ore e quindi un fabbisogno giornaliero totale di 6000/8000 kcal è assai probabile.

Ricordiamoci però che il fine del culturismo non è la prestazione. La ricerca di un fisico conforme ai canoni culturistici è caratterizzato da muscoli diversi per forma, grandezza e funzione rispetto a quelli di Phelps o di qualsiasi altro sportivo, considerando anche quegli atleti che per stazza, forza e strumenti utilizzati per il potenziamento fisico (sovraccarichi), più assomigliano per tipologia di corpo ad un culturista.

Questo significa che nel culturismo il quantitativo di cibo che serve introdurre per sostenere l’allenamento è frutto di valutazioni derivanti da fattori meno algebrici.

PIÙ VOLUME DI ALLENAMENTO EQUIVALE A PIÙ DISPENDIO ENERGETICO, MA PUÒ NON ESSERE SUFFICIENTE

(finendo ugualmente per accumulare troppo peso superfluo)

All’atto pratico determinate azioni biomeccaniche (esercizi di isolamento) possono generare una risposta interna, circoscritta a determinate aree corporee, provocando un dispendio minimo.

Ancora più in pratica in questo ambito è possibile produrre risultati in termini ipertrofici generando un danno meccanico con conseguente meccano-trasduzione e realtivo stimolo della sintesi proteica, ossidando un quantitativo di calorie che a Phelps non basterebbero nemmeno per fare la doccia dopo l’allenamento.

Ma è per tutti così? Lo stesso soggetto, in periodi differenti, risponde allo stesso modo, o necessita comunque diversificazione del lavoro?

Intanto bisogna distinguere il neofita, ovvero colui che deve crescere per quantitativi di massa muscolare e forza da guadagnare, dall’avanzato, che è colui che ha quasi saturato il proprio potenziale di forza e massa muscolare in termini di peso/stazza.

Poiché il culturismo oltre ad essere caratterizzato da sviluppo di massa e da definizione muscolare estrema, è anche e soprattutto un gioco di forme e volumi, dopo molti anni si giungerà ad uno status in cui i guadagni di forza e peso corporeo non contribuiranno più in maniera ingente ad imprimere una certa resa estetica (in economia questo fenomeno è chiamato legge degli incrementi decrescenti).

Ciò significa che per continuare ad avere miglioramenti dal punto di vista della resa estetica, diviene quindi fondamentale valorizzare specifiche zone in senso volumetrico, continuando a conformarsi con i canoni del culturismo.

DOVE VOGLIO ARRIVARE?…

A volte i miei allievi osservandomi mentre mi alleno mi chiedono come mai svolgo trenta e più serie invece delle venti previste nei protocolli che prescrivo a loro.

“Non posso allenarmi con più volume anche io? Così, cresco di più. D’altronde se lo fai tu ci sarà un motivo!”

La mia risposta consiste nello spiegargli che io posso permettermi di “sacrificare carico”, ad esempio lavorando con 30-40 chilogrammi in meno allo squat o con dieci chili in meno a manubrio nelle distensioni, perché comunque ho saturato o quasi i miei livelli di forza relativa e che quindi per me in certi periodi è più opportuno sacrificare i chili spostati a favore di maggior volume allenate, per perseguire uno stimolo specifico differente.

Ma loro, in quanto ancora “vergini” dal punto di vista della saturazione del potenziale di forza relativa, dovranno guadagnarsi ciò che per me è sacrificabile dal punto di vista del carico (il tutto ovviamente senza perdere eccessivamente stimolo meccanico, perché è in relazione alla mia forza che il carico non si avvicina alle mie massime possibilità, ma dal punto di vista assoluto sempre alto rimane).

Quindi il numero di serie e la zona d’intensità entro cui dovrà rimanere un soggetto che deve crescere, è quello che ottimizza quantità di carico sufficiente a garantire stimolo e per fare questo il volume accumulabile rimane medio.

Questa è strategia ideale per fargli conseguire risultati in termini ipertrofici.

Altre volte mi vedono eseguire solo dieci serie a sessione e terminare l’allenamento in trenta minuti.

Quindi si chiedono e mi chiedono come mai loro non fanno lo stesso, considerando che comunque hanno l’obiettivo di diventare più grossi, definiti, e prendono me come esempio.

Gli rispondo che io possiedo livelli di forza tali da poter utilizzare carichi in grado di promuovere, anche se con pochissimo volume di allenamento, un livello di stress a livello cellulare sufficiente da provocare una risposta positiva azionando i meccanismi che portano alla crescita.

Loro, invece, non essendo ancora in grado di stressare la componente cellulare con carichi considerevoli, non potrebbero fare lo stesso e quindi necessitano serie multiple per perfezionare la tecnica e stimolare il sistema nervoso, in modo da guadagnare forza senza generare un costo metabolico difficile da recuperare soltanto aumentando l’apporto calorico senza correre il rischio di ingrassare.

È un po’ come accade a chi si approccia agli sport di forza, che inizialmente grazie all’ aumento delle capacità di reclutamento notano un incremento dell’ipertrofia sistemica e anche locale nelle aree più coinvolte dai sollevamenti che eseguono.

Di solito nell’ultimo periodo che precede un evento è usuale aumentare la quantità/volume di allenamento, a scapito dell’intensità, ovvero di quella quantità di carico che agisce meccanicamente sulle cellule muscolari provocando un danno consistente delle stesse.

Il volume produce un dispendio energetico maggiore, “affamando” muscoli, sistema nervoso e tutto il sistema corpo e per questo motivo, a mio avviso, è un errore ridurre l’intensità ed aumentare il volume, poiché l’intensità/carico (per intensità si intende anche la percentuale del cedimento, ma i miei riferimenti sono in questo articolo tutti sulla definizione di intensità in relazione alla percentuale del massimale) rappresenta la componente qualitativa che contribuisce al mantenimento della massa magra nelle fasi in cui la quantità di substrati a disposizione è minima per via del decadimento dei processi energetici.

Ogni stimolo funziona se è allineato con determinati parametri.

Zone d’intensità troppo basse prevedono schemi di reclutamento insufficienti per avviare i meccanismi che promuovono l’ipertrofia.

In assenza di substrato non può essere sostenuto un quantitativo adeguato di volume nelle zone d’intensità intermedie, quindi viene a mancare l’allineamento dei suddetti parametri.

In quel caso o si mantiene il volume, ma si riduce drasticamente il carico, o si lavora con molto carico, ma si riduce drasticamente il volume.

Più carico porta ad un esaurimento repentino del creatinfosfato, molecola che in fase anaerobica ed in assenza di glicogeno alimenta da sola la contrazione muscolare.
Il ripristino del creatinfosfato avviene in 24 ore, mentre quello del glicogeno in 48 ore.

Questo processo metabolico dovrebbe chiarire le idee su quale sia la tipologia di stimolo di allenamento più opportuno da mettere in atto in base alla circostanza metabolica in cui ci si trova.

CONCLUSIONI

Risultata antifisiologico promuovere attività glicolitiche , quando ci si trova in piena “carestia” di glicogeno a livello muscolare.

Questa è una situazione in cui l’unico glicogeno disponibile è quello ricavato dalla gluconeogenesi a partire dal glicerolo (perdita di grasso) a dagli amminoacidi (consumo inappropriato di proteine ingerite o peggio catabolismo muscolare) o quello recuperato attraverso il ciclo di Cori dal complesso piruvato/lattato prodotti durante l’allenamento.

Questo è il motivo per cui meno si mangia, più si ha fame, e meglio ci si sente allenandosi. Si produce energia spendendo energia, perché l’energia non si crea, non si distrugge, ma si trasforma.

Il tutto funge da perno per ottenere quell’aspetto funzionale richiesto per affrontare una competizione di culturismo.

Per spingere con il volume è quindi più logico attendere la fase di ripristino delle funzioni fisiologiche, ritrovandosi con cellule iper-sensibili all’insulina, peso in aumento, più acqua nelle cellule, incremento delle capacità metaboliche per alimentare il lavoro muscolare, miglioramento dell’efficienza contrattile, più forza in generale.

Questi sono tutti fattori legati all’incremento dell’introito calorico e possono essere strategicamente sfruttati. Si tratta del momento il cui il sistema tollera più volume, perché ha a disposizione i substrati per sfruttarlo.

Più cibo e soprattutto più carboidrati danno luogo ai processi di glicogenosintesi.

Più volume allenante consente all’organismo di adoperare quel glicogeno ricavato dai carboidrati ingeriti, che altrimenti, una volta saturate le esigue scorte cellulari, grazie ad un lavoro certosino del fegato verrebbe convertito in acidi grassi prima e trigliceridi di scorta dopo.

Nonostante il completo ripristino di questa molecola necessita due giorni per avvenire, le riserve non possono essere esaurite attraverso l’allenamento con i pesi, perché ci vorrebbero 150 serie in una zona d’intensità intermedia (serie da 6-10 ripetizioni con una percentuale di carico media del 70%).

Il tutto corrisponde a mille ripetizioni circa (probabilmente un po’ meno considerando il debito d’ossigeno). Proprio per questo motivo la frequenza delle unità allenanti può essere giornaliera ma anche caratterizzata da doppi e/o tripli frazionamenti, poiché la disponibilità di substrato è costante.

Ci sono periodi in cui l’allenamento non deve necessariamente convergere in un obiettivo specifico, come un evento in particolare o comunque un determinato risultato che si vuole raggiungere. Alcuni periodi necessitano una pianificazione diversa, figlia di necessità.

Una delle necessità più importanti per l’essere umano è quella di alimentarsi adeguatamente. Bisogna ricordarsi che quando il cibo non era disponibile in maniera constante, a periodi di carestia seguivano periodi di sovralimentazione in cui si creavano riserve per affrontare meglio le carestie future.

Alcune pratiche alimentari, che sono vere e proprie carestie autoindotte, una volta interrotte, orientano il nostro organismo verso l’accumulo.

L’unico modo che abbiamo per assecondare certe vie metaboliche non è quello di continuare a non introdurre cibo, ma quella opposta, ovvero di soddisfare la richiesta di nutrimento dell’organismo, ma al tempo stesso fare in modo di convogliare i nutrienti lungo un percorso di utilizzo diretto dell’energia, sottraendolo a quello della biosintesi dei lipidi.

Ciò si ottiene aumentando il dispendio energetico, producendo lavoro e continuando l’opera che si è iniziata e che sarà sempre in perenne allestimento.

Di Scilipoti Nino